Una domanda che ci viene spesso fatta, specie dai padri, successivamente alla separazione, è: posso vendere la mia quota della casa coniugale anche se assegnata a mia moglie?
Vendere una quota di un bene assegnato
L’assegnazione della casa coniugale ad una delle parti, è solitamente conseguenza del collocamento dei figli presso un solo genitore, che viene definito “collocatario”.
La casa, quindi, è temporaneamente attribuita in uso al collocatario affinchè sia garantito un ambiente idoneo nel quale i figli possano crescere senza assilli abitativi sino all’indipendenza economica. Su questo punto, in genere, si registrano i primi dubbi: “ma non posso rientrare in possesso della casa già al compimento della maggiore età dei miei figli?”, viene spesso chiesto.
Assegnazione della casa e maggiore età
La maggiore età dei figli non fa venire automaticamente meno l’assegnazione dell’abitazione al genitore collocatario. Occorre, infatti, che oltre a essere maggiorenne, il figlio sia anche in grado di mantenersi. Peraltro, il lavoro del figlio non deve essere semplicemente sufficiente a garantire la sopravvivenza: deve anche essere stabile e deve essere in linea con il titolo di studio conseguito. Fino a quando il figlio non raggiunga questo tipo di indipendenza, fondata sul raggiungimento di una fondata sicurezza economica e di un livello professionale adeguato e dignitoso, non si può né eliminare il contributo alimentare né vendere la casa coniugale.
Vendere la quota di casa se è occupata
Tuttavia, vendere la propria quota della casa coniugale prima dell’indipendenza economica dei figli, non è impossibile.
L’assegnazione dell’abitazione, infatti, non impedisce il trasferimento della proprietà, ma stabilisce esclusivamente che la casa resti occupata dall’assegnatario e dalla prole. Molti ritengono che l’assegnazione comporti anche il divieto di vendita, tuttavia questa convinzione è sbagliata poiché il bene non viene assoggettato ad un vincolo di indisponibilità. Quindi, si può vendere la propria quota della casa coniugale.
Ove quindi si riesca a trovare un acquirente disposto ad investire a lungo termine, si può certamente vendere la propria quota, così come in generale si può vendere un immobile già occupato da terzi o addirittura in nuda proprietà. L’acquirente, quindi, non può entrare nell’appartamento, e l’assegnatario può opporsi al possesso del compratore entro un termine di nove anni a decorrere dall’udienza presidenziale. La Sentenza Cass. Civ. 11096/2002, stabilisce infatti che l’assegnazione della casa coniugale si può opporre all’ acquirente nel termine di nove anni dall’assegnazione stessa.
Tuttavia, chi compra può avere interessi diversi da quelli abitativi, essendo magari semplicemente interessato ad investire.
L’acquirente può chiedere l’affitto all’assegnatario?
No, assolutamente. L’assegnatario occupa l’immobile in forza di un titolo formato da un giudice a tutela degli interessi della prole che esclude qualsiasi dovere nei confronti dei terzi per l’esercizio del diritto di occupazione ed uso.
Avv. Piergiorgio Rinaldi, esperto in diritto di famiglia
La realta' della famiglia in crisi richiede conoscenze approfondite ed una dedizione assoluta. Soprattutto, richiede pratica quotidiana e grande passione personale. Per arrivare al migliore accordo.
Una domanda che ci viene spesso fatta, specie dai padri, successivamente alla separazione, è: posso vendere la mia quota della casa coniugale anche se assegnata a mia moglie?
Vendere una quota di un bene assegnato
L’assegnazione della casa coniugale ad una delle parti, è solitamente conseguenza del collocamento dei figli presso un solo genitore, che viene definito “collocatario”.
La casa, quindi, è temporaneamente attribuita in uso al collocatario affinchè sia garantito un ambiente idoneo nel quale i figli possano crescere senza assilli abitativi sino all’indipendenza economica. Su questo punto, in genere, si registrano i primi dubbi: “ma non posso rientrare in possesso della casa già al compimento della maggiore età dei miei figli?”, viene spesso chiesto.
Assegnazione della casa e maggiore età
La maggiore età dei figli non fa venire automaticamente meno l’assegnazione dell’abitazione al genitore collocatario. Occorre, infatti, che oltre a essere maggiorenne, il figlio sia anche in grado di mantenersi. Peraltro, il lavoro del figlio non deve essere semplicemente sufficiente a garantire la sopravvivenza: deve anche essere stabile e deve essere in linea con il titolo di studio conseguito. Fino a quando il figlio non raggiunga questo tipo di indipendenza, fondata sul raggiungimento di una fondata sicurezza economica e di un livello professionale adeguato e dignitoso, non si può né eliminare il contributo alimentare né vendere la casa coniugale.
Vendere la quota di casa se è occupata
Tuttavia, vendere la propria quota della casa coniugale prima dell’indipendenza economica dei figli, non è impossibile.
L’assegnazione dell’abitazione, infatti, non impedisce il trasferimento della proprietà, ma stabilisce esclusivamente che la casa resti occupata dall’assegnatario e dalla prole. Molti ritengono che l’assegnazione comporti anche il divieto di vendita, tuttavia questa convinzione è sbagliata poiché il bene non viene assoggettato ad un vincolo di indisponibilità. Quindi, si può vendere la propria quota della casa coniugale.
Ove quindi si riesca a trovare un acquirente disposto ad investire a lungo termine, si può certamente vendere la propria quota, così come in generale si può vendere un immobile già occupato da terzi o addirittura in nuda proprietà. L’acquirente, quindi, non può entrare nell’appartamento, e l’assegnatario può opporsi al possesso del compratore entro un termine di nove anni a decorrere dall’udienza presidenziale. La Sentenza Cass. Civ. 11096/2002, stabilisce infatti che l’assegnazione della casa coniugale si può opporre all’ acquirente nel termine di nove anni dall’assegnazione stessa.
Tuttavia, chi compra può avere interessi diversi da quelli abitativi, essendo magari semplicemente interessato ad investire.
L’acquirente può chiedere l’affitto all’assegnatario?
No, assolutamente. L’assegnatario occupa l’immobile in forza di un titolo formato da un giudice a tutela degli interessi della prole che esclude qualsiasi dovere nei confronti dei terzi per l’esercizio del diritto di occupazione ed uso.
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