IL COLLOCAMENTO PREVALENTE E’ MENO DANNOSO DEL COLLOCAMENTO ALTERNATO?
La legge n°54 del 2006, ha stabilito il noto principio della bigenitorialità, affermando la centralità del concetto di coppia che, benchè separata o divorziata, resta comunque unita nel provvedere alle necessità dei figli.
Secondo la riforma, l’affido è solitamente congiunto ma il collocamento può essere alternato. Nella prassi, però, i tribunali non hanno praticamente mai adottato il collocamento alternato, ritenendolo pregiudizievole per la psicologia del minore (riecheggia la famosa frase: “i figli non sono pacchi postali”..)
I tribunali adottano quindi uno schema quasi identico a quello pre-riforma, assegnando la prole ad un genitore collocatario e concedendo all’altro un diritto di visita più limitato e regole rigide per il pernottamento dei figli.
L’esistenza della figura del genitore collocatario -che si presume abbia spese elevate per la gestione delle esigenze quotidiane della prole- rende necessaria l’erogazione di un assegno mensile che il non collocatario deve corrispondere pur non godendo pienamente dei privilegi del rapporto genitoriale.
Ma il fulcro della conflittualità di coppia si basa proprio su questo schema, secondo alcuni.
Infatti, i padri separati lamentano che a fronte di tanti obblighi non corrispondano uguali diritti e le mogli collocatarie lamentano l’insufficienza del contributo alle effettive esigenze quotidiane dei figli.
Stando alle statistiche dell’Istat, nel 2017, sono ancora i padri separati i nuovi poveri che vanno ad affollare in maniera crescente le strutture di sostegno della Caritas. E’ pertanto ragionevole attribuire gran parte dell’escalation del conflitto fra gli ex a ragioni prevalentemente economiche ben più esasperanti dell’aspetto meramente affettivo, che pure incide non poco.
Viene da domandarsi: se i figli trascorressero sei mesi con ogni genitore, alternando la figura di riferimento e il domicilio, subirebbero turbamenti psicologici concreti come attualmente si ritiene nella maggioranza dei tribunali, oppure si adattarebbero plasticamente all’alternanza?
In quest’ultimo caso, si sarebbe trovato il modo per ridurre al minimo gli obblighi economici dei padri e conseguentemente la conflittualità di coppia?
Recentemente, alcune -rare- pronunce di merito (vale a dire di tribunali locali) hanno espresso una preferenza per il collocamento alternato come strumento per combattere il fenomeno dell’aumento della povertà del ceto medio.
Sembra che anche alcune donne, interrogate sull’argomento, apprezzerebboro -almeno in via ipotetica- la soluzione, poiché ritengono che l’ alternato potrebbe responsabilizzare maggiormente alcuni ex mariti inadempienti ed evitare i traumatici spostamenti infrasettimanali dei figli.
Difficile esprimere un’opinione, allo stato dell’arte, poiché ancora non si è avuto modo di valutare un sufficiente numero di casi.
L’evoluzione giurisprudenziale è ad ogni modo interessante.
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